Didattica della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale

Anno Accademico 2020/2021

Schede ECTS

 
FTIS - Specializzazione
II Licenza  
 
Teologia sistematica - II: «Attendersi al compimento della vita. L’escatologia e il senso antropologico della morte»
Codice del Corso
S-20TS02
Corso Integrato
Teologia sistematica - II
Docenti
Noberasco Giuseppe
Anno di corso
S
Semestre
ECTS
3
Ore
24
Lingua in cui viene erogato il corso
Italiano
Modalità di erogazione del corso
Convenzionale
Tipologia di insegnamento
Non definito
Tipo Esame
Prova Orale
Metodo di Insegnamento
Didattica formale/lezioni frontali
Programma

L’invito ad un ripensamento del senso della morte proviene dalla riflessione di M. Heidegger, per il quale ben lungi dall’essere elemento scientificamente verificabile, la morte costituisce la possibilità più propria dell’esistenza, ciò che ne svela la dinamica autentica. L’esistenza è così invitata non a superare la propria finitezza verso una dimensione astorica e atemporale, ma ad assumerla come la dimensione che deve essere pienamente assunta nella decisione. Proprio in quanto mortale l’uomo è esistenza, ovvero chiamato ad un rapporto con sé che si realizza come progetto, decisione. La questione lasciata aperta dalla tesi heideggeriana riguarda il modo in cui viene fatto valere il rapporto tra morte e decisione: mentre in Sein und Zeit la decisione si configura come pura assunzione della finitezza, al di fuori da ogni legame, nella svolta successiva essa viene assorbita dall’evento dell’essere. Il corso affronta la questione soffermandosi su due prospettive, che, da un lato, riconoscono il punto di non ritorno della tesi heideggeriana nel pieno riconoscimento del darsi del compimento nella storicità, ma, dall’altro, intendono superare il difetto in essa presente conferendo maggior peso all’atto effettivo dell’esistenza. In questo senso per Derrida la morte rivela la realtà dell’atto dell’uomo nel suo rapporto con la verità.  Nell’atto del morire l’uomo si attende ai limiti della verità facendo esperienza della costitutiva ambivalenza del suo agire. La morte svela la costitutiva passività dell’agire dell’uomo, il fatto che in esso egli è già in rapporto con l’altro. La storicità dell’uomo deve così essere riconosciuta nella sua irriducibilità tanto richiedere la messa in questione della distinzione tra piano ontico e piano ontologico a cui si appella Heidegger. Se la morte chiama in causa l’uomo nella sua singolarità il livello ontico è insuperabile. Per E. Jüngel, se la morte rivela la dinamica storica dell’esistenza nella sua irriducibilità, la prospettiva resta ambivalente se non la si legge alla luce della determinazione che la morte stessa riceve in Gesù Cristo. È in Cristo che la finitezza non si profila genericamente come dimensione che dall’uomo deve essere assunta. Nella morte, in quanto fatta propria da Gesù, l’uomo è nella sua finitezza in rapporto con Dio e quindi autenticamente sé stesso. Il profilo cristologico della morte rivela così la sua portata salvifica e quindi veritativa per la vicenda reale dell’uomo. Resta tuttavia aperta la questione della portata antropologica della determinazione cristologica della morte: essa in effetti, a differenza di quanto afferma, Jüngel chiama in causa l’atto umano del morire ed in esso trova il suo realismo.

Obiettivo

Un adeguato approccio alla realtà dell’escatologico richiede l’approfondimento del senso antropologico del morire. La morte infatti non può essere risolta nel semplice punto di passaggio dalla vita terrena all’aldilà, come accade nell’escatologia del manuale che, proprio per questo, non riesce a pensare il definitivo nel suo carattere di compimento della temporalità dell’esistenza. Allo stesso risultato giunge tuttavia la teologia contemporanea quando fa coincidere il compimento con l’essere definitivamente in Cristo, senza farne valere la dinamica antropologica, ovvero il suo chiamare in causa la vicenda della libertà nella sua irriducibilità. Il carattere assolutamente inedito del compimento escatologico, il suo coincidere con la radicale novità per la vicenda storica non accade senza richiedere l’iniziativa della libertà. L’escatologia può far valere tale dinamica se si impegna in una riflessione sul morire capace di farne emergere le dimensioni di attività e passività: lì dove l’uomo è accolto dal definitivo è chiamato a riprendere attivamente il senso dell’intera esistenza e della storia universale. In questo senso la teologia fa riferimento al giudizio definitivo come autogiudizio e legge in tale prospettiva la morte e la fine che con essa si annuncia. Riprendendo ma riformulando la lettura heideggeriana si mette così in evidenza l’irriducibilità della morte ad ogni lettura univoca: con essa la vita è di fronte a quella fine che svela il senso profondo dell’intera temporalità umana. Se quindi con la morte l’uomo si scopre radicalmente passivo, in essa riconosce il rimando alla propria vicenda come proprio sua. La fine rappresentata dalla morte rimanda l’uomo alla propria singolarità, al compito di prendere definitivamente posizione rispetto ad essa. Non può sfuggire la rilevanza di tale dinamica per l’escatologia e per la comprensione del compimento cristologico della storia.

Avvertenze

Il corso svolgerà mediante lezioni frontali e si concluderà con un esame in cui si verificherà la ricerca svolta dagli studenti.

Bibliografia

J. Derrida, Aporie. Morire – attendersi ai “limiti della vita”, Bompiani, Milano 1996; E. Levinas, Dio, la morte e il tempo, Jaca Book, Milano 1996; C. Di Martino, Oltre il segno. Derrida e l’esperienza dell’impossibile, F. Angeli, Milano 2001; E. Jüngel, La morte come mistero della vita, in Possibilità della vita nella realtà del mondo. Saggi teologici, Claudiana, Torino 2005, 149-176; J. Derrida, Teoria e prassi, Jaca Book, Milano, 2018; S. Ubbiali, In-fine l’uomo. L’inattuale escatologia di Jacques Derrida, in «Divus Thomas» 122 (2019) 368-380.